Page 12 - RIVISTA NOVEMBRE 2024
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piedi per raccontarla. Chi, come me, ha fatto indigestione dei telefilm del tenente Colombo,
               sa che in quelli non c’era mai una descrizione dei luoghi. Colombo indagava sempre in città

               anonime, per lo più periferie. Non è così per Anselmi, visto che nei suoi romanzi ci sono

               pezzi della Perugia che lo ospita, che ama e che racconta.
               Anselmi ha cinquant’anni o giù di lì, è sovrappeso, scapigliato e con una barba non curata,

               pigro, insonne, ha difficoltà a carburare al mattino, ha un gatto sensitivo – si chiama Mollica

               – che non va d’accordo con il suo più stretto collaboratore, il sovrintendente Ricci; ama la
               sintesi, odia le case senza ascensore, non ha un buon rapporto con il sangue, e nemmeno

               con il questore (che chiama Culo pesante); e, soprattutto, è goloso di Baci Perugina (come

               il suo aspetto fisico sta a indicare), dei quali abusa da quando ha smesso di fumare; come
               suoneria del cellulare ha il Notturno n. 1 in B Flat minor (si bemolle minore), Op. 9, N. 1, di

               Chopin; ha i suoi tempi, ma, tra i mille inciampi e ripensamenti, arriva sempre e comunque

               a risolvere i casi su cui indaga.
               Se mi rivedo in lui?

               Be’, in qualcosa certamente. Come Anselmi sono un gattaro, non amo il sangue e non sono il

               tipo che risolve i problemi della vita con le mani.



               7) Come nasce una nuova storia da scrivere, per te? La immagini già prima, in quanto

               hai dei chiari spunti di sviluppo o la costruisci man mano?

               Le mie storie nascono senza una scaletta precisa e senza che sappia quale strada alla fine

               prenderà il libro.
               Ci sono tanti personaggi, tante storie per quanti sono i personaggi, alcuni luoghi della città

               particolarmente belli e adatti per ambientarci un giallo e poi aspetto che, come per magia, i

               personaggi, le storie e i luoghi s’incontrino.
               Ciò che importa è che, alla fine, venga fuori una sola storia, che contenga tutte le altre. Come

               in un’orchestra in cui suonano più elementi, il mio compito è quello di fare in modo che non

               ci siano stonature, dissonanze, o che qualche musicista vada fuori tempo.
               Durante le mie presentazioni, quando mi vien fatta questa domanda, rispondo sempre che

               è come se mettessi tutte queste storie in un frullatore, che spengo quando viene fuori una

               storia, che contenga in sé tutte le altre: una storia che si dimostri coerente, che non abbia falle
               e che abbia un finale plausibile, senza, cioè, che debba ricorrere agli effetti speciali. All’inizio

               pensavo che fosse una follia scrivere in questo modo, ma poi ho scoperto, che se di follia si

               trattava, ero pur sempre in compagnia di autori come Simenon e Raymond Chandler.
               Certo, il rischio è che le storie possano anche non incontrarsi e che il libro rimanga nel

               cassetto, ma vuoi mettere il piacere che prova l’autore quando scrive un giallo di cui non

               conosca il finale. In un certo senso, è come se diventasse lettore del suo stesso romanzo e, al

               pari di quello, cercasse di scoprire, prima di arrivare alla fine, i collegamenti esistenti tra le
               tante storie.

               I romanzi scalettati al millimetro hanno il pregio di consentire all’autore una scrittura veloce,

               perché il grosso del lavoro è stato fatto a monte e sono quindi privi di imprevisti, ma hanno

               il difetto, qualche volta, di essere troppo prevedibili nel loro finale e, per l’autore (che lo
               conosce già), di non essere intriganti e di diventare persino noiosi.

               Quello che mi è chiaro, quando comincio a scrivere, è solo il tema.

               I miei gialli, infatti, sono solo un pretesto per parlare di temi di assoluta attualità. In “Per una
               vita rubata: Summum ius summa iniuria”, per esempio, ho affrontato il tema della maternità

               surrogata e, più in generale, del diritto negato; ne “La verità comoda” quello del pregiudizio

               e dell’omertà; ne “Gli occhi della basilica” quello della violenza domestica e del bullismo; in
               “Sono solo coincidenze”, il tema è stato quello della ingordigia umana; in “Humanitas”, quello

               della umanità, visto che, oggi più che mai, in un mondo nel quale c’è qualcuno che rivendica

               addirittura il diritto all’odio, è diventato un tema centrale.
               Però, che sia chiaro: nei miei libri non offro ricette e non tratto l’argomento con finalità



                12  periodico mensile del gruppo NOIQUI
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