Page 11 - RIVISTA NOVEMBRE 2024
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Perugia, con i suoi vicoli – soprattutto di notte, con le sue luci soffuse – è la location perfetta
per ambientarci un poliziesco. Mentre passeggio, non c’è un angolo del centro storico, infatti,
che non mi solleciti l’idea di un giallo.
Come si fa a resistere alla tentazione di scrivere un poliziesco, mentre cammini in via delle
Streghe, in via Cupa, in via dei Cospiratori o in via Corrotta? Trovo che sia davvero impossibile.
In “Humanitas”, scrivo:
“Tutte le volte che imboccava la strada di casa, lo sguardo di Fausto andava dritto alla targa
che ne indicava il nome.
Via Corrotta.
Perugia era famosa per la toponomastica a dir poco fantasiosa. C’erano strade, come via dei
Tornitori e via dei Pellari, che indicavano i mestieri che vi si praticavano nel passato; altre,
come via Scoscesa e via Sdrucciola, che raccontavano i luoghi nel loro aspetto fisico, quasi
volessero mettere in guardia i visitatori dalle insidie del percorso; e altre ancora, come via
delle Streghe, via dei Cospiratori, via Cupa e via Corrotta, che alludevano a fatti e misfatti
di cui erano state testimoni, ma che nessuno, ormai, più ricordava. E dove non arrivavano
quelli della toponomastica, ci pensavano i perugini a cambiare il nome, come nel caso di
via del Forno, da tutti conosciuta come il Vicolo dello Zozzone, dove, un tempo, si andava a
mangiare le patate e il baccalà fritto, che, a sentir loro, più buono non ce n’era.
Quando aveva preso casa in via Corrotta, gli avevano raccontato che, fino a qualche anno
prima, in quella strada c’era stata una stazione della Benemerita; cosicché, volendo dar credito
alla storiella dei carabinieri che andavano in giro sempre in coppia, Fausto diceva convinto
che a firmare il contratto di locazione doveva essere stato quello dei due che non sapeva
leggere.”
4) Quale è stata la tua maggiore ispirazione a condurti in questo genere e quale dei tuoi
romanzi ti ha regalato più emozioni?
Le storie possono essere raccontate in tanti modi e il poliziesco è solo uno di questi. Io, come
autore (come lettore è tutta un’altra questione, in quanto leggo di tutto, anche i bugiardini dei
farmaci), preferisco questo genere letterario perché mi diverte lasciare qua e là gli indizi che
il lettore dovrà saper cogliere per cercare di sciogliere l’enigma.
Quanto, invece, al romanzo che mi ha regalato più emozioni, rispondo che i libri, per l’autore,
sono come i figli e non ce n’è uno che possa amare più degli altri. Se proprio devo indicarne
uno, è sempre l’ultimo nato, ma solo perché, rispetto agli altri, come i bimbi, ha bisogno di
maggiori attenzioni.
5) Pensi di scrivere qualcosa ambientato nella tua terra di appartenenza?
Non è escluso. Per il momento, mi sono inventato dei personaggi pugliesi (come il professor
Bollino ne “La verità comoda”), oppure in Puglia ci ho mandato il commissario Anselmi, in
vacanza o per concludere un’indagine.
6) Cosa rappresenta per te il personaggio principale delle tue creature, il simpatico e
arguto commissario Anselmi? Ti rivedi un po’ in lui?
Il commissario Anselmi, il protagonista di tutti i miei romanzi, è un poliziotto sui generis,
il più lontano possibile dall’archetipo dell’investigatore a cui ci ha abituati la letteratura di
genere. Non è Hercule Poirot né Sherlock Holmes quanto a capacità di risolvere, con le sue
cellule grigie, i casi che gli vengono affidati. E non è neppure Jack Reacher, che, oltre ad avere
le intuizioni fulminee dei primi due, è anche capace di risolvere fisicamente i problemi che
incontra lungo la sua strada. Non è un supereroe, ma non è neppure una macchietta, tipo
l’ispettore Coliandro. E non è neppure il tenente Colombo, di cui ha solo l’aspetto stropicciato.
Non è sornione né serafico, né fintamente stupido come lui. È uno che s’innervosisce come
tutte le persone normali quando è sotto stress, e, soprattutto, è solito girare per la città a
periodico mensile del gruppo NOIQUI 11