Page 92 - RIVISTA AGOSTO 2024
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Fabiana Bia Cusumano




                                                                        Il Profumo



               Per Ginevra sua madre era una specie di profumo. Non ricordava neanche come si chiamasse,
               era una boccetta dalle forme femminili che abitava sul mobiletto in legno del bagno di marmo

               rosa. Ginevra entrava di soppiatto, quando nessuno la vedeva, e se ne spruzzava sempre un
               po’ addosso. Le piaceva pensare che fosse la pelle di sua madre Paola. Ma Paola, schiava delle
               allucinazioni e di continue nevrosi, era un’altra cosa: buio e tristezza. E trascinava chiunque

               la seguisse verso un inferno privo di emozioni. La sua vita la passava sul divano di casa senza
               il conforto di un raggio di sole, né di voci amiche. La tv sempre accesa, lo sguardo smarrito
               altrove.

               Ginevra era cresciuta al riparo da questo male di vivere grazie a suo padre e ai nonni, che avevano
               fatto di tutto per offrirle un porto sicuro. Con loro si sentiva amata. Da Paola no.

               «La mamma non mi vuole bene. Non ama nessuno. Perché hai sposato una donna così?»,
               aveva detto più di una volta Ginevra a suo padre.
               Lui si difendeva come poteva:

               «Si commettono tanti errori nella vita, Ginevra, ma si capiscono troppo tardi. Cosa avrei
               dovuto fare? Lasciare te e tuo fratello Riccardo nelle mani di una donna così? Credi che non
               sappia chi è tua madre?»

               «Io non ho avuto una madre. Sono solo figlia tua».
               Ginevra lo ricordava sempre a suo padre. E glielo fece notare anche quando il male di vivere di

               Paola si fece insopportabile. Paola ormai era fuori di sé. Prima aveva buttato suo marito fuori di
               casa, poi s’era messa in testa di sposare Gino, il suo primo amore. L’uomo che l’aveva sedotta

               e tradita con l’imprenditrice piena di soldi e dalla quale aveva avuto una figlia. Era stato allora che
               nella testa di Paola s’era rotto qualcosa. Quella bambina avrebbe dovuto essere sua.  Sua e del
               suo grande amore. Ma le cose erano andate diversamente.

               Gino aveva sposato l’imprenditrice dopo averla messa incinta. Era successo e basta e a quel punto
               lui non poteva tirarsi indietro. Anche perché il futuro suocero l’aveva minacciato più di una
               volta. E poi avere una figlia era sempre stato il suo sogno.

               «Meglio una figlia femmina che cento maschi».
               Gino aveva perso il conto di quante volte l’aveva ripetuto a se stesso. Forse perché temeva che
               un figlio maschio potesse crescere come lui. Bastardo, fedifrago, amante del lusso e della bella

               vita. Con una figlia sarebbe stato tutto più semplice: avrebbe aperto le gambe e prima o poi uno
               ricco l’avrebbe incastrato. Del resto, Gino aveva ereditato una fortuna dal padre e non gliene

               importava nulla di lavorare. Preferiva vivere di rendita. L’imprenditrice lo amava e, forse, s’era
               fatta mettere incinta a bella posta. Così lui sarebbe stato solo suo. E ciao ciao Paola.
               Già, Paola e i suoi sogni d’amore. Invaghirsi di un uomo senz’arte né parte. Fino a quel momento

               non le era mai stato permesso. Aveva preso così tante botte, una volta, che era finita pure in
               ospedale. I suoi genitori erano stati irremovibili.

               «Piuttosto ti ammazziamo di botte, ma tu sposi un uomo per bene.”
               Gli anni passavano. E Paola stava sempre peggio. Così venne rinchiusa in un collegio, lontano
               dal suo paese, con la scusa di un pezzo di carta da metterle in tasca. Ma tanto lo sapevano tutti

               che era l’unico modo per toglierle quell’amore sciagurato dalla testa. Un amore negato da tutti.
               Soprattutto da Gino e dall’imprenditrice, che gli aveva regalato un’incantevole bimba con gli occhi
               neri.

               Paola aveva provato a incassare, ma s’era lentamente ammalata. E alla fine s’era sposata pure lei,
               per inerzia, con un magistrato in carriera e bello da togliere il fiato. Esattamente ciò che i suoi

               genitori desideravano per lei: un uomo che lavorasse duramente e portasse tanti soldi a casa.
               Ed era un padre dolcissimo, stimato da tutti. Tranne che da Paola. Paola con Vittorio, di figli ne
               aveva messi al mondo due. Ginevra e Riccardo. Ma non era felice. Entrambe le gravidanze le

               avevano lasciato la ferita mai ricucita di una depressione profondissima. Un calvario che ormai
               era routine: ansiolitici e antidepressivi per sedare gli attacchi di panico, crisi, pianti notturni.
               E i lunghi pomeriggi al buio, sul divano. Chi ne soffriva di più era sua figlia Ginevra. Mai una

               carezza, nessun abbraccio, di regali nemmeno l’ombra. Solo singhiozzi, farmaci, il buio di una
               madre che non sapeva amare.

               Ma c’era anche quel profumo.
               Ed era successo tutto per caso. Un giorno Ginevra era entrata in una profumeria e s’era messa
               a cercare quella essenza. Finché trovò il profumo che cercava, quello di sua madre. Una volta




                92   periodico mensile del gruppo NOIQUI
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