Page 22 - RIVISTA NOVEMBRE 2024
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Gabriella Fortuna




                                                   Come fu che don Vincenzino Passaro’,

                                barone di Castelrocca, cacciò le povere monache dal monastero.
                                               Ma chiudere un monastero per una monaca,

                                                               fu una vera ingiustizia




                                                                                 Il monastero si ergeva tetro e imponente a
                                                                                 sovrastare con la sua solennità i tetti delle

                                                                                 case che lo circondavano. Intorno il paesaggio

                                                                                 era brullo e desolato. Qua e là cespugli
                                                                                 spinosi facevano sembrare ancora più aspra

                                                                                 quella campagna sconsolante e deserta. In

                                                                                 lontananza, lo sciabordio di un fiumiciattolo

                                                                                 rendeva vivo quel territorio perché si sa,
                                                                                 l’acqua è stata sempre fonte di vita.  Dall’alto

                                                                                 il monastero, con il suo campanile, appariva

                                                                                 come un faro per la povera gente, un luogo
                                                                                 dove sapevano di trovare sempre riparo o

                                                                                 qualcosa da mangiare.

                                                                                 A capo di questo bastione  c’era la  badessa
                                                                                 Giustina,  posta  in  quel  monastero,  non  per

                                                                                 vocazione e nemmeno per passione. La sua era

                                                                                 stata una scelta obbligata. L’ultima di tre fratelli
                                                                                 non aveva avuto scampo. Era tradizione, nella

                                                                                 sua famiglia, che l’ultima della prole, maschio

                                                                                 o femmina che fosse, era destinata a prendere

                                                                                 i voti. E le tradizioni, nella famiglia di don
                                                                                 Vincenzino Passaro’, si dovevano rispettare.

                                                                                 Il monastero era badiale, immenso e questa

                                                                                 grandiosità incuteva timore a quanti
                                                                                 cristiani si avvicinavano a chiedere riparo

                                                                                 o semplicemente a soddisfare quel bisogno

                                                                                 primario della fame. Don Vincenzino Passaro’,

                                                                                 barone di Castelrocca, di quelle terre ne
                                                                                 andava fiero e guardava il monastero con aria

               di superiorità. Era stato lui a volere quella costruzione e un motivo l’aveva avuto.

                Dalle trifore della sua dimora, ogni mattina già all’alba, vedeva frotte di persone in fila per
               la questua. - Poverini, si diceva, cristiani senza sorte. - E lui di sorte ne aveva avuta, e tanta.

                Era proprietario di feudi che si perdevano alla vista tra contrade e plaghe e i suoi campieri

               e bovari, ogni giorno gli elencavano fatti e misfatti degli uomini, così lui decideva il destino
               di ognuno. Spietato com’era, non ci pensava due volte a cacciare qualche vaccaro che aveva

               tradito, in qualche modo, la sua fiducia. Tre figli aveva avuto. Melu, stessa tempra del padre,

               fumantino, forte come un leone, scaltro come una volpe e un cuore come la faccia, verde,
               perché l’invidia se lo mangiava vivo.

                Gino, il mezzano, cristiano lavoratore era. Giorno e notte pensava a portare il mangiare a

               casa. Poi c’era Giustina, bella e ribelle come la madre. Occhi di cerbiatta, che a solo guardarli,

               venivano pensieri sfirriati. Libertina e sfacciata era, e per questi motivi don Vincenzino
               Passaro’, com’era vero che era barone di Castelrocca e come soleva usare a quei tempi, pensò

               gloriosamente di rinchiuderla nel monastero e per lei, ogni anno, destinava 1200 denari,

               perché non doveva dirsi che a sua figlia non aveva dato dote da baronessa. E così Giustina
               diventò suor Giustina e a suor Giustina il sangue le ribolliva e si sa, l’uccellino chiuso nella




                22  periodico mensile del gruppo NOIQUI
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