Page 14 - RIVISTA NOIQUI AGOSTO 2022

fRAnCEsCA pATITuCCI InTERvIsTA
1) Leggendo la tua biografia e stralci dei tuoi scritti, indubbiamente, incuriosisce molto la
tua indole a voler esplorare varie forme d'arte e passioni.
In quale momento della tua vita hai avvertito forte l’esigenza di scrivere?
Non in epoca in cui mi occupavo di cantieri, no. Nella parte successiva, la parte che io chiamo
“la seconda metà della mia vita”. Risale all’epoca in cui studiavo Lingua Araba, che ho abban-
donato prima della laurea; è lì che è arrivato in me il bisogno di esprimere qualcosa, scrivendo
la mia prima favola teatrale, L’Uovo di Ruha. È lì che è nato il mio primo pseudonimo, Bal-
tasar (ne adopero due, sicuramente per motivi di insicurezza), con anche il logo: la scritta che
contiene sia lettere latine che arabe ( ). Letta da sinistra verso destra e nella traduzione araba,
significa testa con domande... Ahimè, sono ancora poche le risposte!
Mi sono appassionato al dualismo, fino agli ossimori; concetti espressi anche in alcuni disegni
(dozzinali!); ho imparato a vedere le cose da un lato e dall’altro. E dal dualismo al senso di
equilibrio. Mi piace molto l’equilibrio, con questo non posso dire di esserlo sempre. La scrit-
tura da sinistra a destra ha contribuito a questo processo, a questo tendere.
2) Ci piacerebbe saperne di più sulle sceneggiature che realizzi per il teatro e cosa ti aspetti
di concretizzare in questo ambito.
C’era un mio collega geometra che spesso si definiva un geometra da cortile. Ebbene, io mi
definisco un drammaturgo da cortile! Interamente autodidatta, se si esclude l’anno di accade-
mia teatrale, che è pochissimo, che è niente. Quindi, autodidatta. Ma questo non frena il desi-
derio di vedere le mie opere messe in scena, e mi auguro di vederle in questa vita, mi dispia-
cerebbe essere un ... qualcosa di postumo! E sinceramente, se posso osare in me un insolito
guizzo di auto-giudizio-positivo, alcuni testi meriterebbero la salita sul palcoscenico. Testi che
toccano temi come l’autoconsapevolezza, la crescita personale, la morale, intelligenza etica,
educazione, lotta all’ego, all’individualismo... dall’io al noi! Adopero molta allegoria, simbo-
logia; il teatro si presta benissimo a questo linguaggio. Spesso scrivo in forma grottesca, nel
pieno alveo del teatro dell’assurdo. Minimalismo scenico, teatro di parola e di figura.
3) Ti definisci “ruggine” che assembla parole, interrogativi, aspettative. Ci vuoi spiegare
meglio cosa fa questo artigiano dell’arte, e qual’ è l’obiettivo primario che fa muovere la tua
fame di scoprire mondi nuovi e scavare superficialità mal condivise?
Ruggine, anche qui il dualismo insiste ( ), le due G contrapposte: immanente e trascendente!
Questa domanda è difficile, e forse le risposte che darò devieranno un pochino, andranno un
po’ per conto loro!
Leggo moltissimo e memorizzo pochissimo, nonostante abbia scritto un testo proprio su un
metodo di memorizzazione, Memorizzazione Dinamica. Soffro di una (poco grave) forma
di disnomia, afasia. Ma... ma, c’è sempre un ma nella vita: noto che nei miei testi spesso mi
ritrovo, in maniera accidentale? ... A riacciuffare concetti che so che provengono da “altro-
ve”, quindi so che tutte le letture non sono andate perse; da queste “limature” scaturiscono i
miei testi, che hanno qualcosa proveniente da altro da me a cui aggiungere qualcosa di mio.
E spesso diventa qualcosa, a volte no. E sento, grazie alle letture assidue, di essere sempre in
un continuo divenire.
Per quanto riguarda le superficialità, beh, non le prendo mai come un qualcosa da affrontare
a gamba tesa, non sono mai per lo scontro violento, nemmeno in forma verbale, non è nelle
mie corde; quindi, cerco di combatterle (assai nel mio piccolo, ma proprio assai assai) con i
miei testi, cerco di offrire una scala di crescita. A chiunque. Una modificazione. L’essere su-
perficiale non è da condannare, combattere, ma modificare. Non è da condannare perché non
sappiamo mai del suo retroterra: è facile essere “elevati e colti e altruisti” in un ambiente ido-
neo; impresa molto più ardua, invece, per uno che vive in “altri ambienti”. La società spesso
è responsabile del singolo.
Una superficialità (la posso ritenere tale? Ma sì!) che davvero mi mette a disagio, che tende
a infastidirmi, che tende a non farmi dormire la notte, è la permalosità. È un atteggiamento
difficile da rimuovere. E la ritrovo in tutti i livelli della scala sociale. Molti altri che sembrano
più difficili da rimuovere, come ad esempio il rancore, in realtà risultano più semplici rispetto
alla permalosità. Non so perché, probabilmente (sicuramente) il troppo ego. Lo ripeto spesso:
siamo falsi numeri binari, tutti vogliamo essere Uno e nessuno Zero; e così non c’è nessuna
fantastica combinazione! Da ragazzi si riesce a scherzare in tutti i modi, da adulti la cosa cam-
bia drasticamente. Drasticamente in peggio.
4) Che valore dai all’etica, morale e alla crescita personale continua?
Moltissimo. Soprattutto alla crescita continua, ... perpetua! Che si trascina dietro tutto il re-
sto: morale, etica, educazione, rispetto, tolleranza, visione. E che poi si traduce, io sono per
la sintesi, in educazione, molto semplicemente. Sembra banale, puerile, parlare di educazione
(quella di base), viene da essere... sardonici! È diventato oggi un atteggiamento anacronistico.
Eppure, e qui la mia esperienza ventennale nei cantieri edili, l’educazione è quell’atteggiamen-
to che permette una “pacifica” convivenza. Pacifica, che poi conduce a una progressione di
ordine superiore: il rispetto e comprensione dell’altro.
5) Qual è il tuo modus agendi di approccio a questa crescita interiore e ricerca di te stesso,
oltre che ai valori più profondi del tuo vivere?
14 periodico mensile del gruppo NOIQUI
AURELIO ACETO
Fino ad anni fa andavo alla ricerca di me stesso, oggi alla ricerca
dell’altro. Sto passando dall’io al noi, alla visione allargata. Sono andato molto in profondità,
rischiando l’implosione, ora cerco una esplosione, nella sua accezione migliore, cosmica! Il mio
modus agendi di crescita e ricerca consiste, molto semplicemente, nella lettura ampia; cerco di
leggere svariati autori e di svariati generi, narrativa, saggistica, teatro, romanzi, poesie. Non rin-
corro uno stadio di erudizione, no, rincorro uno stadio di conoscenza pragmatica, di base, una
conoscenza che mi permetta di comprendere l’altro da me.
6) Cosa si nasconde dietro le tue allegorie e i valori simbolici che ritroviamo nelle tue opere?
Dove non arrivano le parole arriva il simbolo. Il simbolo è un linguaggio antico e di grande
immediatezza, e consegna al lettore la possibilità di darsi una sua personale interpretazione, a
seconda della sua cultura, della sua sensibilità, della condizione di quel momento. La grandezza
del simbolo è che non ti inchioda a una interpretazione secca, univoca, ma ti offre la possibilità
di campi sterminati della conoscenza! Su un simbolo è possibile ragionare, percorrendo vari
livelli di lettura, per una vita intera. Ogni volta ti comunica qualcosa di differente perché diffe-
rente lo sei tu, oggi, rispetto a quello che eri ieri. Siamo in evoluzione perpetua, e il simbolo è lì,
a modificare, accrescere il suo messaggio.
7) Che influenza hanno avuto nel tuo percorso di vita gli studi religiosi?
Inizialmente molto, tendevo a una mistica eccessiva come mezzo di modificazione dell’esse-
re. Sono passato attraverso i “Labirinti” del Cristianesimo, Corano, Mistica Ebraica, Mistiche
Orientali... Oggi però mi ritrovo a percorrere terreni più... immanenti, più concreti! La Religione
è fondamentale, necessaria, è insita nell’uomo la ricerca di un Oltre; senza andiamo verso un
inaridimento. Detto ciò, però, oggi, non credo più nel sentimento del volersi bene fraternamen-
te a tutti i costi, credo più nel concreto atteggiamento dell’educazione e del rispetto reciproco.
Da qui, soltanto poi, sono possibili tutti i voli mistici. Forse necessita una ripartenza dalla base,
una nuova “reimmersione”, come cito in una poesia.
8) Ci incuriosisce molto questo tuo nuovo gioco di calcio che hai ideato e chiamato Spok
M.A. riferito all’atteggiamento comportamentale che osserva rigide regole. Da dove scaturisce
questa esigenza?
È stata una parentesi molto simpatica, anche in considerazione del fatto che col calcio non ci
azzecco nulla. Di fatti, moltissimo della parte tecnica è stata affidata a mio cugino, ex giocato-
re professionista. Anche qui, ovviamente, la simbologia è ovunque: parte del campo circolare
all’interno di un rettangolo, spicchi triangolari, numero tre (dei giocatori per squadra). E anche
il dualismo: squadre obbligatoriamente miste, maschi e femmine. L’esigenza è sempre la stessa,
quella che ho per i testi teatrali eccetera: messaggi di elevazione comportamentale. Qui, in que-
sto caso, in termini più... terra terra!
9) Hai effettuato un percorso di studi della lingua araba, cosa non consueta. C’è una ragione
particolare che ti ha guidato verso questa preferenza linguistica?
Sì, c’è una ragione: la scrittura da destra verso sinistra, la trovavo un’azione difficile. Non lo è,
credetemi sulla parola. E poi la bellezza grafica, i calligrammi sulla basmala (la frase di apertura
delle Sure, nel Corano), i suoni gutturali, a noi occidentali proibitivi. E poi... è una lingua semi-
tica, il che vuol dire che ha molto di antico, un antico intriso di mistica; le lettere solari e lunari,
di nuovo il dualismo. Ho perso molto di ciò che avevo imparato, in termini di conoscenza lin-
guistica, ma ho conservato tutta la bellezza intrinseca.
10) Bene, a questo punto ci è d’obbligo e piacere chiedere quali siano i tuoi progetti futuri, se
hai in cantiere realizzazioni teatrali imminenti e quale sogno accarezzi da tempo da poter veder-
ne la luce.
Attualmente sono alle prese con due testi teatrali (vedranno mai il palcoscenico? E chi può
dirlo!), uno a struttura classica, con trama, climax eccetera; l’altro a struttura tipica del teatro
dell’assurdo. Il teatro dell’assurdo è quello che preferisco, quello più vicino alla mia persona...
seriamente ironica (ah, gli ossimori!). In entrambi messaggi di evoluzione personale e collettiva.
Il sogno? Beh, mi sembra di averlo già espresso: quello di vedere in scena una mia opera. Pur-
troppo, io non sono un attore (l’anno di accademia non ha fatto altro che confermare questo,
però ha confermato anche che bene o male posso scrivere, possiedo ancora una fantasia da
sfruttare), pertanto sono legato alle disponibilità altrui. Sono legato, me lo dico spesso, al fato...
O Fato, ti attendo!
Grazie Aurelio per questa interessante e originale intervista che ci hai prontamente offerto.
In bocca al lupo per quanto stai cercando di realizzare. F.P.
periodico mensile del gruppo NOIQUI 15