Page 21 - RIVISTA NOIQUI MAGGIO 2024
P. 21

francesco d’angio’


               parola durante la cerimonia di premiazione.
 LORENZO CALOGERO  Calogero definisce quella premiazione con una colorita espressione dialettale.

 IL POETA CHE HA DIMINUITO TUTTI  Di lì a qualche anno, in assoluta solitudine, nella sua casa di Melicuccà, la morte se lo chiama col suo

               peso leggero.

 Sarà che è proprio vero che bisogna morire per essere considerati... forse.  In quel rifugio chiamato poesia, vorremmo essere trovati senza essere svenduti, ma qualcuno

 Che i poeti scrivano spesso di amore morte ed eternità, è cosa risaputa, ma capita anche che   passa e distrattamente ci definisce come uno dei tanti, e ci respinge nelle dimenticanze giuste di

 non si riesca ad afferrarli nel corso della loro tormentata vita terrena, quando cercano come   chi un giorno verrà a scoprirci con la buona dose di ipocrisia che tutti (o quasi) assolve. Lorenzo

 di comunicarci il dono della poesia mentre se ne stanno il più possibile lontano dagli altri e dal   Calogero da quel rifugio ha lanciato la sua voce a salve, per la salvezza non sua, ma di chi non
 mondo, un tentativo perseguito con accanimento, l’accanimento del verso che scava il profondo   ha granché da dire e partecipa attivamente al gioco dell’onnipresenza, decidendo i tempi per

 solco che ci vuole dentro, in quelle affollate solitudini che nessuno dovrebbe permettersi e che   l’entrata in scena di chi non recita, di colui che è incapace di mascherare quella incompiutezza

 in pochi si caricano su spalle di roccia sabbiosa.  che ben definisce la realtà di ognuno. La sfiducia in quella stessa realtà non è un gioco o un

 Ci si accalca, dopo, quando la vita è svanita e qualche nome importante riconosce quel talento   vezzo intellettuale, ma la constatazione di un bene che potrà farci visita solo dopo la nostra
 così ben “mascherato” dallo sfortunato poeta, o anche artista, se vogliamo completare il quadro.  morte, e a volte, neanche accade.

 Ed è stato così anche per il solitario, infelice, contorto, quasi folle Lorenzo Calogero, nato a

 Melicuccà, un piccolo paese dell’entroterra reggino, il 28 maggio 1910, il luogo dell’inizio e   Forse il silenzio libero avanza
 quello della fine, quando il 25 marzo 1961, ufficialmente, ma presumibilmente qualche giorno   e quanto è sottomessa la luna

 prima, chiese di non essere sotterrato vivo (contenuto del biglietto trovato accanto al suo corpo).   a questi aloni irrequieti

 La grande beffa vuole che con la salma ancora calda, qualcuno affermi che costui ci ha diminuito   come le foglie secche
 tutti, frase pronunciata addirittura da Giuseppe Ungaretti, con il seguito emotivo di altri illustri   e i nuovi campi liberi odorano ancora;

 nomi dell’epoca come Eugenio Montale, Giorgio Caproni, Mario Luzi, e via discorrendo. Ma   ma tu stai di là dalle giunture del monte

 si sa che l’onda emotiva quando passa non lascia nulla e l’oblio si riprende presto la scena con   e sono come corpi morti.
 l’intenzione di tenerla a lungo per sé, e Lorenzo Calogero, considerato tra i più importanti del

 Novecento anche da Carmelo Bene, ritorna nel dimenticatoio, in quella solitudine che così tanta   (Da I Quaderni di Villa Nuccia)

 compagnia gli aveva fatto in vita. Tra i più importanti del Novecento... tanto importante da   Si, l’elemosina della quiete lascia il piattino vuoto, e lo sguardo sperso ai margini della strada,
 faticare non poco per vedersi pubblicate le sue poesie, fino al punto da pagare, e nemo propheta in   riflette il nostro stesso volto triste che avremmo voluto perdere al primo appuntamento con la

 patria sosterranno in molti.  vita. La quiete, la pace, quella pace e quella calma che Lorenzo Calogero trovava soltanto nella

 Laureatosi  in medicina dopo  una breve  parentesi  in ingegneria,  comincia a soffrire presto   poesia, unica conoscenza che amava fare.

 di patofobia, convincendosi, senza reale motivo, di essere affetto da gravi malattie. Ma la sua   Nelle immagini che lo ritraggono lo si vede avvolto in un enorme cappotto con la borsa da
 sofferenza maggiore è verso la vita, un’angoscia del vivere che gli farà trovare giovamento,   medico condotto, piena di fogli di poesie, piuttosto che di strumenti della sua professione,

 un giovamento relativo, solo nella poesia. Comincia a comporre i primi versi, raccolti in Poco   professione esercitata scrivendo versi. Scriverà di lui anche Eugenio Montale, in un famoso

 suono, stampato a pagamento nel 1936 dall’editore Centauro, e non saranno gli unici pubblicati   articolo sul Corriere della Sera, evidenziando come fosse  “un’impresa ardua  accostarsi alla

 a pagamento. Nel 1955 pubblica altre due raccolte con Maia, casa editrice senese, dopo essere   sua poesia fatta di parole spogliate del loro significato semantico e ridotte a semplice segno...
 stato rifiutato da Einaudi. Si tratta di componimenti scritti nel dopoguerra, oltre ad altri inediti   incrociando varie tendenze e rifiutandole tutte allo stesso tempo per non impoverirsi, interamente

 giovanili.I rapporti con il mondo culturale dell’epoca sono del tutto assenti, incomprensibile ai   posseduto dal demone dell’analogia, della similitudine (…). Calogero scompone in emistichi il

 più quel poetuccio venuto dal Sud più profondo, incapace di instaurare qualsiasi tipo di relazione   nostro verso tradizionale e lo ricompone in nuovi modi (…). Egli non scriveva la sua poesia,
 con gli intellettuali e i letterati suoi contemporanei, sì prevenuti nei confronti di tutto ciò che   la viveva in un modo del tutto fisico e per lui l’attesa era qualcosa di inimmaginabile. Se avesse

 veniva culturalmente prodotto al di sotto di Roma (male ancora attuale), ma anche respinti dal   potuto distaccarsi almeno per un attimo dai suoi versi, sarebbe ancora vivo”. Abbiamo detto

 disagio e dal disamore che Lorenzo Calogero provava innanzitutto verso sé stesso.  che Carmelo Bene definì Calogero come il più grande poeta italiano del Novecento, forse per
 Unica eccezione a questo isolamento fu la vicinanza di Leonardo Sinisgalli, altro poeta meridionale   la drammaturgia implicitamente contenuta nei suoi versi, complessi, mai lineari e così creativi,

 di origini lucane, nato a Montemurro nel 1908, che firma la prefazione di Come in dittici, una   innovativi. Nella prefazione alla raccolta Come in dittici, Leonardo Sinisgalli definisce la poesia di

 raccolta di centosettantasei poesie scritte tra il ‘54 ed il ‘56, pubblicate sempre da Maia. Sinisgalli   Lorenzo Calogero come un “groviglio insensato” che in un lampo, in un soffio, ci restituisce il
 resterà l’unico punto di riferimento di un mondo esterno sempre più distante. Alla scomparsa   senso labile della vita, in tracce di parole che si fanno memoria, attraverso l’incanto di una voce.

 della madre, a cui era molto legato, tenta il suicidio, gesto che convince la famiglia a ricoverarlo   È una poesia fatta di suono, onirica, che va oltre ogni classificazione, nella sua “città fantastica”

 in una casa di cura per malattie nervose. Qui scriverà quei versi che poi finiranno in I quaderni   (definizione del poeta stesso), tutto è possibile ed è negato, il verso procede per paranomasie
 di Villa Nuccia, pubblicati dopo la sua morte e definiti dal poeta Canti della morte. Il ricovero,   e allitterazioni. Un visionario Calogero, fuori da un tempo preciso e dai suoi cliché.  Non

 però, acuisce il suo malessere e il senso di abbandono da parte di tutti, a cominciare dalla sua   aveva una sua corte, ma un’unica “disperata e mostruosa dedizione” per la poesia, come scrive

 famiglia. Non gli resta che chiedere aiuto ancora una volta a Sinisgalli che a marzo del 1957 gli   Sinisgalli, una dedizione per una poesia definita ermetica perché tutto ciò che non si comprendeva

 presenta sulla Fiera letteraria alcune poesie. Dello stesso anno è anche l’unico riconoscimento   all’istante, veniva definito “ermetico”, una poesia che doveva essere eliminata perché “dannosa”
 ricevuto in vita da Lorenzo Calogero, il Premio Villa San Giovanni, un amarissimo ed effimero   per quell’altra poesia, quella bucolicamente alta e prontissima nel mettersi a disposizione della

 riconoscimento considerate le sue precarie condizioni di salute. Sinisgalli lo trascina quasi di   facile comprensione. Un po’ quel che accade ancora oggi... Al contrario, poco aveva in comune

 forza a ritirare quel premio, che lo vede “assente” tra gli assenti, incapace di proferire una sola   con i poeti cosiddetti ermetici, e alquanto stretta gli stava anche la figura del poeta “maledetto”,



 20   periodico mensile del gruppo NOIQUI                                        periodico mensile del gruppo NOIQUI                            21
   16   17   18   19   20   21   22   23   24   25   26