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francesco d’angio’
parola durante la cerimonia di premiazione.
LORENZO CALOGERO Calogero definisce quella premiazione con una colorita espressione dialettale.
IL POETA CHE HA DIMINUITO TUTTI Di lì a qualche anno, in assoluta solitudine, nella sua casa di Melicuccà, la morte se lo chiama col suo
peso leggero.
Sarà che è proprio vero che bisogna morire per essere considerati... forse. In quel rifugio chiamato poesia, vorremmo essere trovati senza essere svenduti, ma qualcuno
Che i poeti scrivano spesso di amore morte ed eternità, è cosa risaputa, ma capita anche che passa e distrattamente ci definisce come uno dei tanti, e ci respinge nelle dimenticanze giuste di
non si riesca ad afferrarli nel corso della loro tormentata vita terrena, quando cercano come chi un giorno verrà a scoprirci con la buona dose di ipocrisia che tutti (o quasi) assolve. Lorenzo
di comunicarci il dono della poesia mentre se ne stanno il più possibile lontano dagli altri e dal Calogero da quel rifugio ha lanciato la sua voce a salve, per la salvezza non sua, ma di chi non
mondo, un tentativo perseguito con accanimento, l’accanimento del verso che scava il profondo ha granché da dire e partecipa attivamente al gioco dell’onnipresenza, decidendo i tempi per
solco che ci vuole dentro, in quelle affollate solitudini che nessuno dovrebbe permettersi e che l’entrata in scena di chi non recita, di colui che è incapace di mascherare quella incompiutezza
in pochi si caricano su spalle di roccia sabbiosa. che ben definisce la realtà di ognuno. La sfiducia in quella stessa realtà non è un gioco o un
Ci si accalca, dopo, quando la vita è svanita e qualche nome importante riconosce quel talento vezzo intellettuale, ma la constatazione di un bene che potrà farci visita solo dopo la nostra
così ben “mascherato” dallo sfortunato poeta, o anche artista, se vogliamo completare il quadro. morte, e a volte, neanche accade.
Ed è stato così anche per il solitario, infelice, contorto, quasi folle Lorenzo Calogero, nato a
Melicuccà, un piccolo paese dell’entroterra reggino, il 28 maggio 1910, il luogo dell’inizio e Forse il silenzio libero avanza
quello della fine, quando il 25 marzo 1961, ufficialmente, ma presumibilmente qualche giorno e quanto è sottomessa la luna
prima, chiese di non essere sotterrato vivo (contenuto del biglietto trovato accanto al suo corpo). a questi aloni irrequieti
La grande beffa vuole che con la salma ancora calda, qualcuno affermi che costui ci ha diminuito come le foglie secche
tutti, frase pronunciata addirittura da Giuseppe Ungaretti, con il seguito emotivo di altri illustri e i nuovi campi liberi odorano ancora;
nomi dell’epoca come Eugenio Montale, Giorgio Caproni, Mario Luzi, e via discorrendo. Ma ma tu stai di là dalle giunture del monte
si sa che l’onda emotiva quando passa non lascia nulla e l’oblio si riprende presto la scena con e sono come corpi morti.
l’intenzione di tenerla a lungo per sé, e Lorenzo Calogero, considerato tra i più importanti del
Novecento anche da Carmelo Bene, ritorna nel dimenticatoio, in quella solitudine che così tanta (Da I Quaderni di Villa Nuccia)
compagnia gli aveva fatto in vita. Tra i più importanti del Novecento... tanto importante da Si, l’elemosina della quiete lascia il piattino vuoto, e lo sguardo sperso ai margini della strada,
faticare non poco per vedersi pubblicate le sue poesie, fino al punto da pagare, e nemo propheta in riflette il nostro stesso volto triste che avremmo voluto perdere al primo appuntamento con la
patria sosterranno in molti. vita. La quiete, la pace, quella pace e quella calma che Lorenzo Calogero trovava soltanto nella
Laureatosi in medicina dopo una breve parentesi in ingegneria, comincia a soffrire presto poesia, unica conoscenza che amava fare.
di patofobia, convincendosi, senza reale motivo, di essere affetto da gravi malattie. Ma la sua Nelle immagini che lo ritraggono lo si vede avvolto in un enorme cappotto con la borsa da
sofferenza maggiore è verso la vita, un’angoscia del vivere che gli farà trovare giovamento, medico condotto, piena di fogli di poesie, piuttosto che di strumenti della sua professione,
un giovamento relativo, solo nella poesia. Comincia a comporre i primi versi, raccolti in Poco professione esercitata scrivendo versi. Scriverà di lui anche Eugenio Montale, in un famoso
suono, stampato a pagamento nel 1936 dall’editore Centauro, e non saranno gli unici pubblicati articolo sul Corriere della Sera, evidenziando come fosse “un’impresa ardua accostarsi alla
a pagamento. Nel 1955 pubblica altre due raccolte con Maia, casa editrice senese, dopo essere sua poesia fatta di parole spogliate del loro significato semantico e ridotte a semplice segno...
stato rifiutato da Einaudi. Si tratta di componimenti scritti nel dopoguerra, oltre ad altri inediti incrociando varie tendenze e rifiutandole tutte allo stesso tempo per non impoverirsi, interamente
giovanili.I rapporti con il mondo culturale dell’epoca sono del tutto assenti, incomprensibile ai posseduto dal demone dell’analogia, della similitudine (…). Calogero scompone in emistichi il
più quel poetuccio venuto dal Sud più profondo, incapace di instaurare qualsiasi tipo di relazione nostro verso tradizionale e lo ricompone in nuovi modi (…). Egli non scriveva la sua poesia,
con gli intellettuali e i letterati suoi contemporanei, sì prevenuti nei confronti di tutto ciò che la viveva in un modo del tutto fisico e per lui l’attesa era qualcosa di inimmaginabile. Se avesse
veniva culturalmente prodotto al di sotto di Roma (male ancora attuale), ma anche respinti dal potuto distaccarsi almeno per un attimo dai suoi versi, sarebbe ancora vivo”. Abbiamo detto
disagio e dal disamore che Lorenzo Calogero provava innanzitutto verso sé stesso. che Carmelo Bene definì Calogero come il più grande poeta italiano del Novecento, forse per
Unica eccezione a questo isolamento fu la vicinanza di Leonardo Sinisgalli, altro poeta meridionale la drammaturgia implicitamente contenuta nei suoi versi, complessi, mai lineari e così creativi,
di origini lucane, nato a Montemurro nel 1908, che firma la prefazione di Come in dittici, una innovativi. Nella prefazione alla raccolta Come in dittici, Leonardo Sinisgalli definisce la poesia di
raccolta di centosettantasei poesie scritte tra il ‘54 ed il ‘56, pubblicate sempre da Maia. Sinisgalli Lorenzo Calogero come un “groviglio insensato” che in un lampo, in un soffio, ci restituisce il
resterà l’unico punto di riferimento di un mondo esterno sempre più distante. Alla scomparsa senso labile della vita, in tracce di parole che si fanno memoria, attraverso l’incanto di una voce.
della madre, a cui era molto legato, tenta il suicidio, gesto che convince la famiglia a ricoverarlo È una poesia fatta di suono, onirica, che va oltre ogni classificazione, nella sua “città fantastica”
in una casa di cura per malattie nervose. Qui scriverà quei versi che poi finiranno in I quaderni (definizione del poeta stesso), tutto è possibile ed è negato, il verso procede per paranomasie
di Villa Nuccia, pubblicati dopo la sua morte e definiti dal poeta Canti della morte. Il ricovero, e allitterazioni. Un visionario Calogero, fuori da un tempo preciso e dai suoi cliché. Non
però, acuisce il suo malessere e il senso di abbandono da parte di tutti, a cominciare dalla sua aveva una sua corte, ma un’unica “disperata e mostruosa dedizione” per la poesia, come scrive
famiglia. Non gli resta che chiedere aiuto ancora una volta a Sinisgalli che a marzo del 1957 gli Sinisgalli, una dedizione per una poesia definita ermetica perché tutto ciò che non si comprendeva
presenta sulla Fiera letteraria alcune poesie. Dello stesso anno è anche l’unico riconoscimento all’istante, veniva definito “ermetico”, una poesia che doveva essere eliminata perché “dannosa”
ricevuto in vita da Lorenzo Calogero, il Premio Villa San Giovanni, un amarissimo ed effimero per quell’altra poesia, quella bucolicamente alta e prontissima nel mettersi a disposizione della
riconoscimento considerate le sue precarie condizioni di salute. Sinisgalli lo trascina quasi di facile comprensione. Un po’ quel che accade ancora oggi... Al contrario, poco aveva in comune
forza a ritirare quel premio, che lo vede “assente” tra gli assenti, incapace di proferire una sola con i poeti cosiddetti ermetici, e alquanto stretta gli stava anche la figura del poeta “maledetto”,
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