Page 9 - RIVISTA NOIQUI OTTOBRE 2023
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               dei tempi, pervaso da un fascino di grande poesia, complesso e per molti aspetti ancora avvolto

               nel mistero, così come il suo autore. Poco si sa, infatti, dello stesso Giobbe che sicuramente non
 LA TEOLOGIA DELLA MALEDIZIONE E IL GRIDO   era un ebreo, ma forse uno sceicco in una città sconosciuta chiamata UZ, che alcuni studiosi



 DI GIOBBE     collocano nel sud della Giordania. Giobbe è proprietario di molti beni materiali, ha una bella
               famiglia ed è un uomo buono, retto e felice, del tutto alieno dal male. Un giorno il Satana, anco-

               ra non identificabile col diavolo, si presentò al Signore insinuandogli il dubbio che la fede degli
 Il principio di causa effetto stabilisce una correlazione tra due fenomeni per cui il secondo,   uomini non sia un atto d’amore puro, ma un comportamento interessato per avere in cambio

 l’effetto, è determinato dal primo, la causa. In base ad esso tutto ciò che avviene nella realtà è   dei vantaggi. Per dirimere questo dubbio Dio accetta la sfida e concede al Satana di mettere alla

 governato dal rapporto di causalità e sembrerebbe non potere essere altrimenti, poiché è una   prova la fede di Giobbe, privandolo progressivamente di tutte le sue ricchezze, dei suoi affetti
 necessità oggettiva. Tuttavia, secondo altri, tale principio non ha una sua realtà ontologica,   con la morte dei figli, della salute con le piaghe della lebbra, fino a ridurlo “nudo e rasato nella

 ma è un criterio generale inventato dall’uomo allo scopo di ordinare la conoscenza del reale.   polvere e nella cenere”. Davanti alla perdita di tutto Giobbe grida a Dio la domanda che tutta

 Comunque, indipendentemente dal fatto che tale rapporto sia o meno nella struttura della   l’umanità ha sempre posto “Perché tutto ciò? Perché io, che ho sempre agito bene, sono colpito
 realtà, la nostra mente è comunque organizzata secondo questo principio di consequenziali-  da tante disgrazie?” La teologia ufficiale col suo dogmatismo formale, espressa nella persona di

 tà e va sempre a cercare negli eventi una causa. È la stessa esistenza dell’universo che porta   tre suoi amici, gli ricorda che il dolore e la sofferenza sono la conseguenza di azioni malvagie,

 l’uomo a postulare una causa primaria, cioè un Creatore, dal che la nascita di tutte le religioni   la malattia è il segno del peccato e lo invita a cercare nel suo passato dei comportamenti che
 positive. Ciò avviene pur nell’impossibilità di comprendere il significato e la ragione di esi-  hanno offeso Dio il quale, appunto, non può permettere il male dell’innocente. È questo il pa-

 stere della realtà e dell’universo. Quindi si tratta di una causa il cui effetto è apparentemente   radigma della Teologia della maledizione, il teorema della legge mosaica che nemmeno Dio può

 privo di senso. Il tempo e lo spazio sono gli operatori di questo criterio mentale che ci porta   smentire. Pertanto, Giobbe deve pentirsi e chiedere perdono al Signore. Ma egli respinge questa
 ad attribuire una causa a ogni singolo evento della quotidianità secondo lo schema “avviene   concezione retributiva e l’invito dei suoi amici che, alla fine, giudica “medici del nulla”. Egli,

 il fatto X perché c’è la causa Y”. Tuttavia, la fisica relativistica e la quantistica, pur da diversi   infatti, non sa di che cosa deve pentirsi e si rivolge direttamente a Dio in termini chiaramente

 punti di vista, hanno dimostrato come quella del tempo e dello spazio siano dimensioni re-  accusatori perché Lui gli dia una spiegazione del dolore incolpevole, una risposta che Giobbe
 lative legate a diverse costanti. Così, per esempio, superando la velocità della luce in teoria   pretende. E Dio rispetta questa richiesta dell’uomo e appare sulla scena con l’onnipotenza del

 si avrebbe un’inversione del rapporto causa - effetto. Ciò accrediterebbe l’ipotesi che tale   creatore dell’universo e gli dice che gli amici sbagliano. La concezione di una giustizia retributi-

 nesso esiste solo nella dimensione ristretta della nostra realtà e del nostro punto di vista.   va è quindi falsa e semplicistica poiché le cose sono molto più complesse e incomprensibili per
 Allo stesso modo è organizzato il sistema della giustizia umana per cui, ogni reato, compor-  l’uomo. In questo incontro con Dio Giobbe non ha una risposta al perché del male, ma ritrova

 ta una punizione che è proporzionale alla sua gravità. Questo modo di pensare, rapportato   la voce rassicurante della fede che non può essere spiegata dalla ragione o dalla presunzione del-

 alla giustizia divina, spinge a interpretare il dolore come la normale conseguenza del peccato   la teologia. Il messaggio del libro sta nel fatto che l’uomo non può capire il segreto intangibile
 secondo la legge per cui chi fa il male avrà il male e chi fa il bene avrà il bene. Questa con-  della creazione e quindi il senso del dolore, neanche di quello innocente, ma gli basta sapere che

 cezione retributiva e razionale della giustizia pervade molti libri della Torà. Così nella Bibbia   esso è connaturato al funzionamento della vita, senza un rapporto di causa-effetto e la presenza

 il peccato di Adamo ed Eva è punito con la cacciata dal paradiso e proietta la sua ombra su   di Dio nella fede, la sua “visione”, lo rende accettabile.
 tutta la discendenza per cui l’umanità ha l’esperienza del dolore e della morte ed ogni uomo

 nasce già colpevole. Analogamente la lussuria di Sodoma e Gomorra suscita l’ira di Dio che

 distrugge le due città, la malvagità del genere umano è punita col diluvio universale. Ancora
 oggi questa concezione del dolore, come espiazione del peccato, è presente anche nel pen-

 siero cristiano in base a quella che viene chiamata Teologia della maledizione. Ciò perché

 la mente umana ha bisogno di certezze e di princìpi logici per cui “tutto ciò che è reale è
 razionale “(Hegel). Tale necessità di una giustificazione dell’evento negativo è stata appro-

 fondita in tutti i suoi aspetti da Leon Festinger nel suo libro sulla Dissonanza Cognitiva e ci

 spiega perché, ad esempio, il condannato a morte innocente cerca nel suo passato dei com-
 portamenti malvagi che possano in qualche modo rendere ragione della pena. Tuttavia, se si

 rimane ristretti in questa logica, risulta difficile dare una spiegazione a molte espressioni di
 dolore innocente come, ad esempio, l’handicap infantile e le malattie genetiche che sono pre-

 senti già nella vita fetale. Nel tentativo di dare un inquadramento razionale e consequenziale

 al dolore, evidentemente incolpevole dei bambini, un certo terrapiattismo religioso arrivò
 all’assurdo di far discendere ciascun tipo di malattia da una determinata posizione erogena

 dei genitori all’atto del concepimento o dal peccato della madre durante la gravidanza. Appa-

 re anche difficile capire come la malvagità sia così diffusa nel genere umano e molto spesso
 impunita. A proposito di ciò si chiede Pirandello: “se la natura è ingiusta non è una grande

 ingiustizia la giustizia?”.

 Contro questa visione consequenziale del dolore, che pervade gran parte delle sacre Scrittu-
 re, si alza la voce o, meglio, il grido di Giobbe in un libro che affonda le sue origini nella notte







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