Page 80 - RIVISTA NOIQUI OTTOBRE 2022

anTOnELLA pOLEnTA
UN VIAGGIO DA SOGNO
TRANSIBERIANA & TRANSMONGOLICA
Alcuni anni fa, spinta dall’irrefrenabile desiderio di fare un viaggio in treno indimenticabile, mi rivolsi a
diverse agenzie di viaggio, ma nessuna di quelle visitate proponeva, allora, un viaggio in Transiberiana,
la ferrovia più lunga al mondo, che non seguisse il classico tragitto da Mosca a Vladivostok, ma offris-
se qualcosa di più elettrizzante. Dopo un affannoso cercare anche sul web, un tour operator con sede
a Bolzano riuscì a catturare la mia attenzione. L’itinerario proposto era avvincente. Da Mosca fino a
Ulan-Ude, cittadina russa, con la ferrovia Transiberiana, per poi proseguire con la Transmongolica fino
a Pechino.
Colta da pura euforia ne parlai con mio marito. Lui mi rivolse uno sguardo perplesso e timoroso, ma
non si trattenne dal richiedere informazioni. Emersero due inconvenienti: il viaggio era già organizza-
to per nove passeggeri altoatesini che parlavano prevalentemente in tedesco e la partenza per Mosca
era prevista da Innsbruck. Dopo vari scambi di mail e telefonate abbiamo concordato di raggiungere
il gruppo a Mosca. Per evitare di salire su un apparecchio dell’Aeroflot, compagnia di bandiera russa,
sconsigliataci da alcuni, raggiungemmo Vienna con l’Alitalia e da lì Mosca dove ci aspettavano i nostri
compagni di viaggio. Una comitiva piuttosto eterogenea: un diciottenne, una coppia di Bressanone,
un rampante ingegnere di Torino, un uomo di mezza età di Bolzano, una ragazza di cui non ricordo la
provenienza e una famiglia composta da padre, madre e figlia laureatasi in lingue a Mosca che si offrì di
farci da guida, direi un’ottima guida, non convenzionale.
A questo punto è d’obbligo dare alcune informazioni
sulla ferrovia Transiberiana che definirei leggendaria:
è lunga circa novemila duecento chilometri, attraversa
ben otto fusi orari, raggiunge centocinquanta stazioni
e, come ho già ricordato in precedenza, parte da Mo-
sca per terminare nella città portuale di Vladivostok
che si affaccia sull’Oceano Pacifico.
Giunti a Mosca, nonostante la stanchezza e le lungag-
gini burocratiche per la registrazione in hotel, subito
dopo cena con tutta la comitiva e guidati dall’esper-
ta linguista ci avventurammo a piedi per le lunghe strade della città. Di notte la Piazza Rossa con la
splendida Cattedrale di San Basilio, un tratto delle mura del Cremlino, il mausoleo dedicato a Lenin e i
famosi magazzini GUM ci apparve sorprendentemente magica e suggestiva.
Mosca di notte (foto di Franco Fornaci)
Dopo aver concluso l’interessante e originale tour della città, durato tre giorni, finalmente eccoci sul tre-
no. Incollata al finestrino lato corridoio, in piedi, con accanto occasionali viaggiatori curiosi quanto me,
seguivo il paesaggio rapita. Purtroppo, con mio marito condividevamo uno scompartimento con quattro
cuccette di cui una occupata dal compagno di viaggio tedesco con il quale non era facile conversare. Lui
80 periodico mensile del gruppo NOIQUI
conosceva a malapena l’italiano e noi neppure una parola in tedesco. E in più amava dormire.
Nell’ammirare lo scenario siberiano con le sconfinate foreste di conifere, la cosiddetta taiga, la steppa,
alcuni fiumi, lunghi ponti e le catene montuose, di tanto in tanto ripensavo alla letteratura russa che da
ragazza mi aveva letteralmente sedotta, Puskin, Gogol, Tolstoj, Pasternak, Dostoevskij, Turgenev e ad
alcuni personaggi da me amati come l’indimenticabile conte Vronskij e la fascinosa Anna Karenina nell’o-
monimo romanzo; Jurij Zivago e la bella Lara nel capolavoro di Pasternak. E sognavo. Sognavo a occhi
aperti. In treno il tempo scorre con un incedere diverso. Il treno va veloce, il tempo va lento. Dall’alba al
tramonto il panorama mi riempiva la mente, ritemprava l’anima e i goccetti di vodka mi scaldavano il cuo-
re. I passeggeri russi con insistenza offrivano il loro nettare, per fortuna all’interno del tappo della stessa
bottiglia. Dico per fortuna perché non amo bere i superalcolici, per giunta nelle prime ore del mattino o
subito dopo pranzo. Ma non riuscendo a rifiutare ero costretta a ingurgitare per forza quel liquido che
metteva il fuoco dentro e anche l’allegria. Di fatto ho potuto constatare che il popolo russo, almeno quella
porzione conosciuta in treno, ama divertirsi, fare baldoria, socializzare e non solo… In alcuni scomparti-
menti, non troppo distanti dal nostro, alcune lolite cercavano di attirare con moine studiate, atteggiamenti
lascivi e abbigliamento succinto i passeggeri stranieri. All’inizio mi aveva stupito il loro vestiario, calze a
rete e vestagliette di raso. Ingenuamente mi chiedevo come potesse essere comodo e soprattutto consono.
Poi ho capito. Tanto che il nostro compagno di viaggio più giovane, non resistendo al fascino di una intra-
prendente biondina, prese la decisione di seguirla, rinunciando a gran parte dell’itinerario stabilito.
Lasciata Irkutsk, considerata da alcuni la capitale della Siberia, distante da Mosca circa cinquemila e passa
chilometri, per un tratto il treno costeggia il meraviglioso lago Baikal, un lago che vanta una profondità di
1600 metri, una lunghezza di 600 chilometri, contenente il 20% dell’acqua dolce dell’intero pianeta e con-
siderato il più antico al mondo con i suoi 25 milioni di anni di vita. Le sue acque sono gelide e trasparenti.
Giunti in una riserva naturale del lago, dove trascorremmo la notte, alcuni tra i più intrepidi e meno fred-
dolosi del gruppo ebbero modo di provare il gelo mortale facendosi un veloce bagno per poi introdursi il
più rapidamente possibile in una caldissima sauna adiacente alla casa che ci ospitava.
Lago Baikal (foto di Franco Fornaci) Foto tratta dal web
A Ulan-Ude, situata sul fiume Uda nella Siberia orientale, lasciamo la transiberiana per salire sui vagoni
della linea ferroviaria transmongolica. La Mongolia, un vasto territorio ricoperto prevalentemente dalla
steppa e dal deserto del Gobi, per la volta celeste che la sovrasta, che è di un azzurro intenso, carico, con
scarse nubi, incredibile, rilassante, è anche detta Terra dal cielo blu eterno. Carovane di fieri mongoli a
cavallo, file di autentici cammelli e bianche gher movimentano il paesaggio. La gher, iurta in russo, non
è altro che una tenda rotonda sorretta da una struttura in legno di salice che i nomadi mongoli traspor-
tano da un luogo all’altro assieme agli arredi tutti molto colorati. Mobili dipinti di rosso, decorati con
festosi fiori e ornamenti svolazzanti, rallegrano l’interno delle tende dove siamo stati accolti per gustare
alcuni manicaretti locali e bere latte di cavalla tiepido appena munto. A quel tempo per fortuna ancora
fumavo, quindi accampando la scusa di voler aspirare una sigaretta mi precipitai all’esterno, rigurgitai il
bolo che trattenevo in bocca e con il piede velocemente occultai tra i granelli di sabbia il nauseante cibo
prima che qualcuno se ne accorgesse. Non volevo essere scortese, ma neppure farmi sopraffare dal di-
sgusto. Temevo di stimolare dei conati di vomito, più difficili da nascondere.
periodico mensile del gruppo NOIQUI 81