Page 9 - RIVISTA NOIQUI MAGGIO 2024
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bruno brundisini


               niente da cui siamo venuti. Pertanto, va oltre la stessa concezione ebraica che postula comunque

 QOHELET, L’INQUIETANTE LIBRO DEL NULLA  l’esistenza di un aldilà, anche se sfumato e impreciso, luogo di ombre che si muovono avanti e

               indietro, luogo non abitato da Dio. Per Qohelet esiste solo il “qui ed ora” e alla fine della vita
 “Parole di Qohelet, figlio di Davide, re di Gerusalemme. Vanità delle vanità, dice Qohelet, vanità   la dissoluzione colpisce in egual misura gli uomini e le bestie, il buono e il malvagio. Alla fine,

 delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il   tutti andranno in una fossa perché la meta dell’essere umano e di tutto il mondo biologico è il

 sole? Una generazione va, una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge,   baratro. Da ciò discende il consiglio per l’uomo di godere al massimo di ogni piacere che la vita

 il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove poi risorgerà. Il vento soffia a mezzogiorno,   offre, bere, mangiare, divertirsi, fare l’amore. Se vi sarà un giudizio, questo verterà proprio sui
 poi gira a tramontana. Gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna. Tutti i fiumi vanno al mare,   piaceri non goduti, su tutte le occasioni perse.

 eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro meta i fiumi riprendono la loro marcia. Tutte   Come si vede si tratta di un libro cinico e sostanzialmente pessimista che, a prima vista, è

 le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo”.  difficile mettere in dialogo con quanto contenuto nei Vangeli, perché sviluppa delle tesi del tutto
 Così inizia uno di quei libri che, come direbbe Kafka, ci piomba addosso come una sfortuna.   opposte. Mancano in Qohelet la speranza e la fede in un riscatto dal male che faranno la forza

 Un libro della Bibbia che il teologo Paolo Squizzato definisce scandaloso, che esprime la nausea   del cristianesimo. Poiché la sua autenticità come libro sacro, quindi parola di Dio, non è stata mai

 più profonda del vivere. Un libro dove c’è il silenzio di Dio, il silenzio degli altri, il silenzio di sé   messa in discussione nella cultura giudaico-cristiana, c’è da chiedersi qual è il significato di un
 stessi. Un libro che parla a coloro a cui la vita non dice più nulla, che si accontentano di vivere   simile testo nella Bibbia. Sembrerebbe contraddittorio inserire un libro senza Dio in un contesto

 a livello superficiale, che hanno perso tutte le risposte. Ma, paradossalmente, parla anche a   sacro. Non a caso esso ha affascinato molto il mondo laico. Ma alla luce di una riflessione più

 coloro che rifiutano le risposte facili, preconfezionate, le risposte di quelli che, come tanti preti,   approfondita ci accorgiamo di trovarci di fronte a un libro straordinariamente contemporaneo,
 si ritengono depositari della verità.  che parla all’uomo moderno, ormai disincantato e deluso. Appunto, il suo inserimento nella

 Il libro inizia con una falsa presentazione dell’autore che veste i paludamenti di Salomone, che,   Bibbia, ci dice che è possibile vivere per coloro che provano disgusto o disprezzo della vita senza

 come è noto, rappresenta un riferimento costante della saggezza per tutto il mondo ebraico.   essere considerati dei maledetti da Dio. C’è una vicinanza speciale di Dio per tutte le persone

 In realtà l’autore è sconosciuto. Di lui sappiamo che è vissuto tra il trecento e il duecento a.c.,   che si trovano nel dubbio, in crisi esistenziale. Anche l’ateo ha diritto alla sua preghiera che si
 quindi molto dopo Salomone. Si presenta con uno pseudonimo, Qohelet la cui traduzione   rivolge al nulla e che non chiede una risposta. Ma la lettura è rivolta anche a un cristianesimo

 letterale significa “colui che organizza assemblee”. Lo si potrebbe definire un predicatore del   maturo, perché si liberi da una postura teistica premoderna che lo spinge a cercare il tutoraggio

 nulla, che parla nel vuoto, nel niente, nel deserto. L’autore entra subito nell’argomento, che   del divino durante l’esistenza. È importante per il credente maturare una fede responsabile che
 sarà il filo conduttore dei 12 capitoli, la caducità dell’esistenza, il non senso del vivere, in altre   non vada alla ricerca di apparizioni o miracoli, ma trovi in sé la forza delle proprie azioni. Ciò

 parole si chiede “Che ci sto a fare io qui?”. Per definire la vita usa la parola ebraica “hebel” il cui   in linea con quanto insegnato dai Vangeli di un Cristo che, nel momento tremendo della sua

 significato è difficilmente traducibile. I termini con cui viene tradotta sono “alito su un vetro”,   vita, di fronte alla condanna a morte, ha provato l’esperienza del silenzio del Padre, o di sei

 “soffio”, “nuvola di vapore”, “immagine evanescente”. Alcuni si spingono oltre e propongono   milioni di ebrei condannati ingiustamente al gas senza che Dio intervenisse (Paolo Squizzato).
 il termine “vuoto” o addirittura “nulla”. La traduzione ufficiale della CEI, che si rifà a San   Paradossalmente, dalla riflessione profonda su questo libro, può nascere una fede matura. A

 Gerolamo,  è  invece  “vanità”,  termine  assolutamente  inesatto  e  infelice,  assai  criticato  da   tutti noi è capitato di trovarci nel buio della notte, ma ogni notte ha la possibilità dell’alba…

 autorevoli biblisti quali Ravasi, perché per la sua implicazione morale è distante dal significato   un’alba che, probabilmente, Qohelet non ha visto!
 che l’autore voleva attribuire. Il termine “hebel” ricorre spesso nei testi biblici, a cominciare dal                   Bruno Brundisini

 nome del secondogenito di Eva, Abele, che, pur essendo il preferito da Dio, nel racconto della

 Genesi occupa un posto molto meno importante di Caino.
 Il libro  è  scritto  con una penna intenzionalmente  intinta in inchiostri diversi,  con volute

 contraddizioni sia formali che dei contenuti, per sottolineare l’assoluta inutilità di ogni certezza.

 Infatti,  in alcuni  passi l’autore  usa  un linguaggio ricercatissimo,  che  poi, improvvisamente,
 decade in volgarità, con errori grammaticali e imperfezioni. Il messaggio che vuole trasmettere

 è chiaro “io posso scrivere bene, ma che differenza c’è con lo scrivere male?”

 Ma attenzione! Il Qohelet non è un libro della follia. L’autore è un uomo fortemente ancorato

 a terra che non fa voli verso il cielo alla ricerca di un Dio consolatore. Nel Qohelet Dio non
 accompagna l’uomo nel corso dell’esistenza umana o della storia e, se esiste, è impenetrabile e

 lontano. Dio e la storia avranno anche un loro significato, ma per noi è impossibile scoprirlo.

 “Dio sta nei cieli e tu sulla terra”. Il pensiero va alla concezione di Epicuro per cui gli dèi non
 si occupano delle vicende umane.

 La realtà è un assurdo ripetersi di eventi privi di senso, come Il sole che sorge, che tramonta, che

 si affretta verso il luogo da dove poi risorgerà. Come il vento che soffia a mezzogiorno, poi gira

 a tramontana. Gira e rigira e sopra i suoi giri. Questa visione ciclica della realtà, mutuata dalla
 filosofia greca, è assente negli altri libri delle Scritture. Sicuramente Qoheleti è un uomo anziano,

 giunto razionalmente a considerare il vivere come impregnato in un destino di caducità. Ma ciò

 non lo turba. Egli scrive in modo distaccato, come farebbe un osservatore esterno, non coinvolto
 emotivamente da ciò che racconta. Egli vede nella fine della vita la fine di tutto, il ritorno al




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