Page 32 - RIVISTA NOIQUI GIUGNO 2023
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fRAnCEsCO D’AngIO’


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                    “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi...”                                                                                          per un solo inverno. Un destino segnato sin dall'uscita dalla caverna, infarcito di spasimi auto
                                                                                                                                                                             prodotti dal nostro lato oscuro, perché fin dalle origini gli “uomini mortali simili a foglie vivono colmi

               Agli appassionati di cinema questa frase dovrebbe suonare più che familiare, seppur legger-                                                                   di splendore mangiando i frutti della terra, per poi consumarsi e cadere nel nulla” (Esiodo).

               mente modificata in “ho visto cose che voi umani nemmeno osereste immaginare...”, una frase capa-                                                             Se il primo uomo venuto fuori dal buio, aveva da guardare la volta celeste, noi che siamo gli ul-

               ce di diventare un modo di dire del parlare quotidiano, per far intendere l'inverosimile, così                                                                timi in ordine di tempo, quale cielo stellato ammiriamo, o meglio, quando è stata l'ultima volta
               come nelle intenzioni del monologo pronunciato dal bravo e compianto attore Rutger Hauer                                                                      che abbiamo alzato gli occhi un po' più in alto dei nostri quotidiani schermi, “per rimirar le stelle”?

               nell'incipit dello stesso, contenuto nel film di fantascienza Blade Runner del 1982 diretto da                                                                E in questo liquido tempo, affoghiamo nella rapidità di una emozione ingurgitando notizie con

               Ridley Scott.                                                                                                                                                 fare bulimico, senza più riuscire a distinguere tra la luce di un monitor e quella di una stella, per
               Il personaggio interpretato da Rutger Hauer era quello di un replicante, un androide, un “non                                                                 l'appunto. Perché la dipendenza è verso ciò che appare, senza smuoversi di un nulla per andare

               umano” che in punto di morte (i replicanti del film potevano vivere per un massimo di quattro                                                                 oltre la superficie luccicante dell'immagine che è tutto ciò che ci occorre, l'immagine artefatta,

               anni) pronunciando le suddette parole, fa il punto della situazione della propria “vita”, dopo                                                                l'immagine del dolore, della morte, della finzione del dolore e della finzione della morte, l'imma-
               aver salvato in modo inaspettato proprio colui che avrebbe dovuto ucciderlo, ovvero un poli-                                                                  gine dei corpi accatastati che scivolano come olio su di un mare di pietra, di lapidi senza nome,

               ziotto cacciatore di androidi.                                                                                                                                di nomi senza corpi. Tutto deve scorrere veloce, perché c'è già un'altra notizia che ci deve far
               Trattasi dunque di una forma di umanizzazione della “macchina”, che dimostra capacità cogni-                                                                  piangere o forse ridere, o nemmeno sappiamo più qual è la differenza vera tra le due cose, con

               tive e sopratutto “emotive”.                                                                                                                                  una mimica facciale che si confonde con quella posticcia dei nostri Avatar...

               “Tutti quei momenti che abbiamo vissuto, andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di                                                   Ed eccolo che torna l'androide che ne ha viste di cose, oppure è il buon uomo del ventunesimo
               morire”, conclude così il replicante Rutger Hauer, il suo monologo, con queste parole.                                                                        secolo ad averne viste di cose, ad aver visto la morte derisa e l'osanna ai potenti che si burlano

               Per completezza di informazioni è corretto aggiungere che il film è ispirato al romanzo “Il                                                                   di noi comuni mortali anche nell'ultimo dei loro giorni terreni, mentre nell'attesa dell'estate che

               cacciatore di androidi” di Philip K. Dick.                                                                                                                    tarda ad arrivare...la solita “guerretta” non molto distante da noi, sta per compiere il suo secon-
               Ma non è certo del film che intendo parlarvi, supponendo anche che in diversi di voi l'avran-                                                                 do anno di vita, ed è ancora giovane e bisognosa di fare esperienza, di fare “distruzione, feriti,

               no visto e spero amato, un film entrato oramai nell'immaginario collettivo come suol dirsi,                                                                   morti (i soliti)”, per poi finire nel dimenticatoio come tutte quante le altre, più o meno, già am-

               perché di “cose inimmaginabili” noi esseri umani ne abbiamo viste eccome, e temo ancora altre                                                                 piamente retrocessa dopo le ferie da fare, il calciomercato, il traffico, i quotidiani acciacchi e il
               ne arriveranno. E si dovrebbe dunque invertire la prospettiva mettendoci noi nella posizione                                                                  prossimo divorzio di qualche Vip milionario.

               dell'androide del film di Ridley Scott, a raccontare di cose bisognose di una aggiornata classi-                                                              Questa è la vita, ça va sans dire, è ovvio; le occasioni sono state tutte ampiamente spese, le

               ficazione, essendo oramai la categoria del “raccapricciante” non più sufficiente a contenerle.                                                                occasioni per un mondo migliore...una frase che neanche nei Baci Perugina si troverebbe più a
               È più veloce di un battito di ciglia la fluida manifestazione del dispiacere umano ai tempi della                                                             suo agio. E neanche io mi trovo più a mio agio, perché “Dio è morto, e neanche io mi sento

               “rete”, perché non siamo per nulla lontano dal vero se diciamo che gli ultimissimi fatti di cro-                                                              tanto bene”(citando Woody Allen).

               naca, per l'appunto raccapriccianti, sono già stati archiviati alla voce “istinto di sopravvivenza”,                                                          Nella commedia “Le voci di dentro”, il grande Eduardo amareggiato si vergognava di appar-
               perché il viaggio deve proseguire, perché di tragedia in tragedia si scavalcano i ponti del tempo,                                                            tenere al genere umano, dicendo che avrebbe preferito appartenere “ad una scimmia, ad un pappa-

               e l'architrave regge sempre più a stento, ma regge, e capita ogni tanto anche la bella giornate                                                               gallo...”, o magari ad un replicante, capace di tratti “emotivi” sempre più distanti da noi, che di

               di sole.                                                                                                                                                      cose impossibili da classificare ne abbiamo viste e purtroppo ancora ne vedremo.
               In quanti di voi, in questo momento, proprio mentre forse state leggendo queste parole, si                                                                    E pensare che siamo così infinitamente piccoli in tutto l'universo, eppure capaci di cotanto

               ricordano dell'essere umano che ha accoltellato la sua compagna, in attesa della vita ignara di                                                               male...che dire, buona estate a voi tutti.

               tutta la malvagità universale, in quanti...
               Ma le sento le voci varie, le sento, levarsi all'indirizzo del “mostro, di colui che non è degno

               di appartenere al genere umano, di colui che non è umano...”
               Eppure non credo si stia parlando di un androide, può darsi addirittura che fino a pochi mesi

               fa, più di qualcuno gli stringesse finanche la mano...follia improvvisa?...”semplice” impulso ir-

               refrenabile di disfarsi di qualcosa per sostituirla con altro?...Eh già, “ho visto cose che voi umani...”.
               E quante ne vediamo di cose, e quante ne abbiamo viste e ancora ne vedremo, perché pare

               proprio che “ l'umanità sia una malattia della pelle della terra”, una umanità fatta di arre-

               tramenti e paure, nonostante l'avanzare dei secoli e di tutto il progresso tecnologico possibile,
               una umanità che davanti a sé non ha altro che il baratro del nulla, capace soltanto di mettere

               al centro dell'universo le proprie minime speranze ed ossessioni, incapace di superare i limiti

               “dell'io”, così come già ampiamente esposto e riportato nel pensiero di Nietzsche e di altri il-
               lustri filosofi, che sulle nostre umane miserie (nel senso non materiale della definizione) hanno

               costruito brillanti carriere.

               La storia dell'umanità è una costante opera di costruzione e distruzione senza soluzione di
               continuità, un fare e disfare pedissequo nell'arco di una sola giornata, come nell'Ulisse di

               Joyce, l'unicità nella molteplicità delle esistenze, bisognose dell'Elemento esterno al proprio es-





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