Page 10 - RIVISTA NOIQUI DICEMBRE 2023
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bruno brundisini
cui la malvagità abitava i vestiti del
CECCHINI A SARAJEVO piccolo borghese frustrato e sadi-
co. A questo sport criminale e vile,
Quelli bravi sparavano dalle colline, nascosti dentro i ghillie come alberi, e non sbagliavano che qualcuno chiamò “safari”, par-
mai un colpo. Stringevano i micidiali Zastova M76 come si abbraccia un figlio e si sfidavano teciparono pure pseudointellettuali
tra loro a non colpire a morte il bersaglio, perché l’abilità era vederlo dimenarsi a terra come come lo scrittore russo Eduard Li-
un uccello che muove all’impazzata le ali, ma non riesce più a volare. Alla venuta dei soccor- monov, tristemente noto per molti
ritori il gioco si faceva interessante! Quelli sì che venivano centrati al petto, come si fa sui atti di teppismo nel disprezzo cini-
bersagli del tiro a segno del Luna Park. Oppure c’era chi, prima di mirare dritto al cuore, gio- co della gente e della vita umana.
cava a sfiorare il fianco destro e poi il sinistro e poi di nuovo il destro. Qualcun altro era tanto La guerra dava a costoro la possibi-
bravo da freddare la preda mentre correva col cuore in gola da un marciapiede all’altro di viale lità di mettere in pratica il contenu-
Zamaja od Bosne, la via dei cecchini. Sparavano dall’Holiday Inn anche sulle macchine che to immorale dei propri sogni e di
correvano a più di 130 all’ora per sfuggire ai colpi. Certo, si trattava di tiratori scelti, gente che operare una scissione tra il mondo
per anni, solo per passione, ancora prima dell’assedio, si era fatta le ossa girando i poligoni di reale esterno e il mondo pulsiona-
tutta la Iugoslavia. Adesso la guerra dava loro la possibilità di giocare sul serio con la morte. le che abita l’inconscio. Nel mirino
L’assedio di Sarajevo aveva avuto inizio il 5 aprile 1992 ad opera dell’Armata Popolare Iugo- del fucile si apriva lo scenario al-
slava (JNA) e delle forze serbo-bosniache che nei mesi precedenti si erano appostate sulle col- lucinato della regressione infantile
line, intorno alla città. Il 5 aprile la gente era scesa in piazza per una manifestazione a favore allo stadio di onnipotenza oceanica.
della pace. I cecchini serbi colpirono e uccisero due ragazze che vi partecipavano. In quello Non c’è nemmeno odio nel gesto
stesso giorno fu attaccata l’Accademia di Polizia stabilendo il comando strategico a Vraca, disumano del cecchino, ma solo la
nella parte alta della città. totale assenza di empatia. Sarajevo
Gli abitanti di Sarajevo si trovarono cinti da un assedio del tutto inaspettato. Loro erano abi- è immersa tra le colline che la accol-
tuati a vivere in una società in cui c’era un perfetto accordo tra le diverse etnie, serbi, croati, gono come una madre abbraccia il
bosniaci e le diverse religioni, cattolica, ortodossa, ebraica e musulmana e non potevano mai bambino nella culla. Ma, durante la
immaginare la possibilità di un evento così tragico, che si sarebbe concluso solo dopo quattro guerra, era proprio la compostezza
anni, nel febbraio 1996, con migliaia di morti e feriti. All’inizio, i politici, anch’essi increduli, di questo paesaggio a favorire l’as-
cercavano di rassicurare la popolazione dicendo che si trattava solo di un fatto sporadico, sedio. Durante la guerra dalle colli-
di un malinteso che si sarebbe concluso nel giro di qualche giorno. Invece, nel maggio di ne esuberanti di verde, non veniva
quell’anno, Sarajevo fu isolata e bloccate le strade che conducevano alla città. Ad agosto ven- amore, ma il vento tenebroso della
ne cannoneggiata e bruciata la Biblioteca Nazionale, e distrutti quasi due milioni di libri. Ben morte.
presto incominciò a mancare l’acqua, l’elettricità e il cibo, rendendo le condizioni di vita molto Bruno Brundisini.
difficili. I bombardamenti dalle colline si intensificarono tra gli ultimi mesi del 1992 e l’inizio
dell’anno successivo e, alla fine, quasi tutti i palazzi e le strade mostravano sui muri, come cica-
trici, i segni dei proiettili e delle granate. Ma la gente di Sarajevo presto imparò a resistere alla
tragedia in tanti modi, partendo dal principio che tutto quello che promuove la civiltà lavora
contro la guerra. L’imperativo era vivere, non sopravvivere, e il modo migliore di questa fuga
dalla realtà era tenere viva l’arte, reinventarla in forme compatibili con la crudeltà dell’assedio.
Così, solo per citare alcune iniziative, un mese dopo l’inizio delle ostilità fu fondato il Teatro
di Guerra di Sarajevo che, durante i quattro anni, organizzò più di duemila rappresentazioni.
A 300 metri dalle linee della guerra e dalla morte fu aperta una scuola di buone maniere. Nel
1995 fu tenuto il Sarajevo Film Festival ed ogni anno l’elezione di Miss Sarajevo. Il sinistro
suono delle granate echeggia continuamente per i quartieri della città e disturba la registrazio-
ne della musica negli studi televisivi. Il grande cantante Henda sfida i cecchini, cantando per
le vie deserte della città Sarajevsca Raja accompagnato dal suono sinistro delle sirene. Intorno
a lui un’atmosfera surreale di palazzi sventrati, di macerie fumose, di marciapiedi bucati dagli
scoppi delle granate, di amore nell’odio. Ma l’immagine di Sarajevo non vuole essere il paesag-
gio lunare delle strade, dei cadaveri insepolti per paura dei cecchini, ma lo scenario elegante
e festoso della vita. La città viene paragonata a un signore che, perfettamente sbarbato, in
giacca e cravatta, esce da un rudere che è casa sua. Ma, purtroppo, per una tragica similitudi-
ne, c’erano anche uomini che, anch’essi in giacca e cravatta, andavano sulle colline a sparare
e poi si recavano tranquillamente al lavoro, in ufficio, come se nulla fosse. Erano persone in
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